"KAOS",
di Carmelo Fausto Nigrelli |
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Tino Sanalitro è un architetto, uno che sa cogliere l'essenza dello spazio, che sa plasmarlo, che sa come si trasforma un vuoto in un luogo. Le installazioni di Tino sono il gesto di un levatrice che aiuta lo spazio a tirare fuori da sé quello che racchiude in grembo e, per farlo, utilizza la poesia degli oggetti della quotidianità e la eversvità dei loro accostamenti, ri-pensamenti dellle ri-significazioni che li liberano dalla schiavitù dell'utile per renderli nulll'altro che forme in mezzo alle altre forme. Tino Sanalitro è un artigiano, uno che conosce il messaggio della fatica e che vuole trasmetterlo, uno che se ne fotte della virtualità, dell'immaterialità e che nel gesto antico e sapiente della modellazione, della pennalata, della sagomatura del fil di ferro trova il significato ultimo dell'uomo. Gli oggetti attraverso i quali il mondo virtuale vive, televisori, telefoni, radio, computer, scollegati dal cavo che li rende nodi, non restano che oggetti, forme che non comunicano che sé stesse e che il gesso immobilizza per sempre nella loro inutile eleganza. Tino
Sanalitro è un siciliano, uno che continua a covare dentro di sé
il colore dei campi di grano dopo la mietitura e il calore delle fiamme
che bruciano le stoppie, uno che conosce il ristoro dell'ombra di quell'unico
gelso in mezzo al campo assolato e la sua evanescenza. I suoi paesaggi
duri, decisi, essenziali, come solo la luce di Sicilia può rendere
lembi di terra desolata, non sono mai consolatori: sono ciascuno un atto
di accusa verso chi non sa fermarsi a guardarli, magari da un'area di
sosta dell'autostrada.
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