L'installazione
ottenuta con l'accumulo seriale di scarpe colorate, le proiezioni sulle
pareti che alternativamente presentano immagini di terra mediterranea,
di pietre, di terreni calpestati e animati da piedi nudi o calzati in
“CANTO PERDUTO” di TOTO' CARIELLO e TINO SANALITRO suggeriscono,
con un linguaggio diretto e coinvolgente, un'atmosfera carica di simbologie,
di impegno e, paradossalmente, anche di ironia.
Le scarpe che compongono la struttura spiraliforme, all'interno della
quale sfileranno le modelle, incarnano, di paio in paio, storie e situazioni
diverse, si caricano di un passato remoto o prossimo appartenente ai più
disparati individualismi. Scarpe trasformate dai chilometri percorsi,
sfondate dagli anni di usura, vissute fino all'ultimo respiro, convivono
con scarpe da lavoro, da tempo libero, da festa o addirittura con scarpe
lussuose ed eleganti, forse indossate una sola volta. Storie diverse,
più o meno sofferte, si susseguono in un andamento centripeto per
confluire in un accumulo centrale di pietre che, reiterato nelle immagini
proiettate, vuole sottolineare il concetto di ambiente come luogo vissuto
e ricco di storia, in una sorta di parallelismo simbolico con il vissuto
delle scarpe ammucchiate. Ecco prefigurarsi allora una mappa umana ed
una territoriale quasi coincidenti, in una simbiosi organica che si carica
di tutto il peso della storia. I colori caldi e terrosi delle immagini
evocano la meditarraneità di una civiltà contadina in diretto
contatto con una natura non manipolata dall'uomo, ma solcata dal tempo;
le scarpe a terra invece, dipinte con colori saturi, pieni e corposi,
simboleggiano l'intervento dell'uomo sulla primarietà, l'intenzione
di incidere e lasciare una traccia tangibile del suo passaggio. Ma anche
laddove il colore si fa denso e grumoso, non rinnega mai l'intrensicità
della materia, non riesce a celare totalmente l'originarietà dell'oggetto
recuperato e la sua storia, pur trasformandolo nella nuova vita di oggetto
scultoreo.
L'accumulo di scarpe abbandonate è infatti un accumulo di storie
individuali, è forse anche la rievocazione ideale dei lugubri resti
dei campi di concentramento e assurge alla storia collettiva in un recupero
della memoria che, mediante la rievocazione del mero object trouvè,
innesca però uno scarto ironico che rifugge dal ricordo del crudo
olocausto. La memoria, recuperata e manipolata, diventa così ambigua
ed ironica; il riciclaggio e l'impegno sono giocati con la remissione
di valenze cromatico-decorative che scardinano la brutalità di
una ripresa tale e quale. Ogni paio di scarpe, ogni storia individuale
risorge così nel preludio di una nuova rivitalizzazione, di una
nuova identità nell'oggetto-scultura a perdere che ogni spettatore
potrà portare con sé: un paio di scarpe, un frammento di
storia passata che entra nel vissuto del presente.
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