"KAOS",
di Giuliano Gavioli |
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Incapaci di reali sentimenti di stima e di qualsiasi forma di attaccamento affettivo nei confronti degli oggetti che produce, il mondo li abbandona come figli fin troppo desiderati ma ben presto irrimediabilmente superati da nuove e voluttose produzioni affettive. E siamo così sommersi da miriadi di oggetti orfani, incapaci di relazionarsi con il mondo. Fissi ed immobili, ma sopratutto atterriti dalla loro inutilità, non riescono a ricomporre la loro originaria funzione. Come moniti irriverenti e sgualciti occhieggiano dalle discariche planetarie, ovunque la vita induca un automatico e veloce superamento dei propri riferimenti culturali. Un dinamismo che produce stasi. E gli oggetti coprono ormai di sé le montagne, i mari, le foreste, le città, le case, le chiese, gli animali e gli uomini. I volti degli uomini. Nel parapiglia evolutivo-produttivo, l'idea dell'abbandono sostituisce l'idea ben più confortante della morte. Carnefici e vittime si confondono e la pietà non è più di queste parti. L'Artista raccoglie e rianima, con infinita pazienza e divina artigianalità ricreatrice, le vittime di questa Moderna e infinita Apocalisse. E la ricomposizione del senso delle cose si somma alla loro intrinseca memoria, ricollegando frammenti di dialoghi interrotti da una insensata frenesia capace solo di produrre vuoto e un silenzio disperato. I mosaici di terre ferite, le nuove geografie sconfinate, le fisiognomiche sacralizzate nelle infinite diversità, i paesaggi ri-colorati di arsa poesia, ingenui e delicati frammenti di giochi felici e fiori di plastiche velenose destrutturano una realtà insopportabile, ne riproducono simulacri sconcertanti. Una nuova unità. La possibilità di concatenarsi nelle dinamiche di altre narrazioni stravolge il negativo ed intollerabile senso dell'abbandono, determinando, nella nuova coscienza che ne scaturisce, un riposante vigore, un sublime liberatorio senso di morte: |