Questa mostra
dal titolo “Ossessione” avvicina artisti con poetiche diverse
come Oreste Zevola e Cateno Sanalitro, rispettandone le individualità.
L’idea che ha permesso di presentare insieme le due personali degli
artisti sta proprio in un procedimento simile del loro lavoro, nel produrre
frammenti, siano essi disegni o sculture che vanno poi a comporsi e organizzarsi
in autonome installazioni.Se Zevola parte dalla quotidiana pratica del
disegno per creare immagini che vengono scannerizzate e poi stampate su
carta, Sanalitro reitera centinaia di piccole sculture, utilizza migliaia
di frammenti di plastica in forma di mosaico, replica animali di gesso
in modo abnorme.Tutto è moltiplicabile, ma l'ossessione in questo
caso è sempre assoggettata ad un progetto: vi è sempre e
comunque una ratio che dirige la parcellizzazione atomica.Trovo affascinante
questo modo di lavorare. Ed e straordinariamente attuale. Non soltanto
la manualità è presente con forza in entrambe le produzioni,
ma comunque il tentativo è quello di mostrare le forme della complessità.
E se Oreste Zevola fa del disegno un'iperbole, un felice e disperato ponte
con la realtà, non rinunciando all'aspetto tecnologico e alla modificazione
stocastica dell'originario lavoro manuale, in Cateno Sanalitro la quantità
di figure, di immagini induce una dolce patologia: tra horror vacui e
horror pleni non si sa cosa scegliere. Partendo da un’assoluta povertà
di materiali sa creare lo stupore di prodigiosità barocca.
Ma le differenze sono sensibili perché Zevola possiede una forza
narrativa che da alle sue opere l'aspetto della composizione musicale,
di un libro aperto sulla fantasia. I suoi personaggi sono leggeri come
un ricordo, sono visioni che acquistano dalla loro invasività,
dal disporsi nello spazio in sciami, in figure migratorie. Sanalitro ha
sviluppato un universo gremito di impossibili, oggetto e progetto in un
lavoro lunghissimo e paziente. Le sue minisculture zoomorfe in centinaia
di esemplari già dieci anni addietro invasero il Fiera District
e questi “Sranimali”, come li chiama l'autore sono metafore
di un'invasione già avvenuta, incubi tascabili.
Questi sono i motivi che mi hanno spinto ad organizzare questa mostra,
ma a questi è da aggiungere la voglia di lavorare con artisti che
amano profondamente quello che fanno e con una gallerista che non ha mai
avuto paura di osare troppo.Come critico mi limito ad osservare e a permettere
che altri possano fare altrettanto.
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