"ATLANTIDE", di Valerio Dehò
Presentazione dell'installazione "ATLANTIDE"
di C. Sanalitro e T. Cariello alla galleria Masaorita (BO)

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Come un inarrestabile flusso di memoria, una sequenza di oggetti si accumula nello spazio oggetti d'uso, oggetti artistici, prodotti di una cultura che si erode per sovrabbondanza. Il bianco steso dopo un “lavaggio” nella tempera li fa però assomigliare tutti. Sono tutti responsabili del proprio silenzio. Che l'arte riesca a far tacere il vociare ininterrotto delle mille cose che ci circondano (scelte o meno da noi non ha alcuna importanza) è già un risultato. Si comincia a comprendere il titolo dell'installazione. “Atlantide”, quella città o continente che gli antichi popoli del Mediterraneo cercavano oltre le colonne d'Ercole e che noi, attuali abitatori del tempo, più modestamente ricreiamo con l'aiuto e la consolazione dell'arte. Ma che questi oggetti levigati dal candore del silenzio rappresentino in questo momento l'immagine dell'utopia, non fa stare molto allegri. Abbandonati dalla risacca del consumo diventano monumenti provvisori. Anche l'arte si adegua. La loro forza è solo numerica, l'ironia dell'operazione alleggerisce il pensiero di trovarci di fronte agli autentici testimoni del nostro tempo. La presenza di queste “cose” è imbarazzante, la loro uguaglianza li rende altrettanti soldati a guardia del mausoleo di qualche bizzarro imperatore. L'importante è sapere che questa Atlantide come l'altra tornerà ad essere un luogo del pensiero. E se un viaggiatore arabo o un nuovo Platone tornerà a descriverla, ci basterà sapere che la sua nascita ha pari bellezza della sua distruzione.